IL PANE
Era il 1940 e in
quel periodo l’Albania era sotto l’occupazione italiana.
Mio padre insieme alle due sorelle e al
fratello viveva a Korca in una strada che oramai è situata nel centro storico
della città (ma all’epoca era considerata periferia).
In loro compagnia viveva anche lo zio e quindi
il fratello di mio nonno. Un giovane di 20 anni con idee fortemente
democratiche che frequentava il liceo francese. Esso era un istituto molto noto
della nostra città che collegava Korca a Parigi.
Viveva in quella casa anche la zia di mio padre,
che passava giorni e notti a leggere tutti i romanzi e i giornali che le passavano
tra le mani. Mia nonna paterna Kristina era quella che si occupava di
amministrare la famiglia mentre mio nonno Vasil mandava avanti un piccolo
laboratorio di pasticceria.
Il bisnonno Peci (Petraq), tornato dall’America,
aveva comprato il terreno per costruire la casa mentre la bisnonna Pina
(Dhespina) aveva per anni contribuito a crescere ed educare i figli anche da
sola con il marito in un altro continente molto difficile da raggiungere in
quei tempi. Ognuno nel suo piccolo faceva qualcosa. Davano una mano anche i più
piccoli. Tra un bombardamento ed un altro si giocava, si mangiava e quando si
poteva si scherzava. I bambini davano allegria alla famiglia. Giocavano con
Balo, il loro grande amico nonché cane fedele della casa.
Com’ è noto, in quegli anni c’era una grande
carestia ed era difficile trovare il pane. Un pezzo di pane era prezioso come l’oro
che le famiglie stavano dando via in cambio di un po’ di grano. Si mangiava la mattina
quando era disponibile cosi da poter dar forza alle persone di lavorare. La
sera, diceva mio padre, veniva sempre preparata
una zuppa di verdure di stagione. Potevi avere un mestolo solo.
Si intrecciavano in quella casa agricoltura e
cultura. Non rimaneva niente da parte oltre la stanchezza ma riuscivano a sopravvivere
in un tempo in cui già questo era abbastanza.
Ci furono alcuni giorni particolarmente difficili.
Il pane mancava da tanto e a malapena si ricordavano l’ultimo pasto decente
consumato. La tristezza invadeva il volto di mio nonno dal carattere molto sensibile
mentre mia nonna Kristina cercava di dare coraggio tenendo sempre tutti
impegnati in vari servizi per cercare di far dimenticare la fame, almeno provvisoriamente.
Proprio uno di questi giorni mio nonno stava
esponendo sulla vetrina della pasticceria un vassoio pieno di llokume, un
particolare dolce albanese ma di tradizione originaria turca fatto di zucchero
e gelatina. Tanta gente si affacciava ma tutti erano in grandi difficoltà
economiche. Mio nonno regalava qualcosa cercando di sfuggire allo sguardo
severo della nonna, la vera contabile dell’economia domestica. All’improvviso
in negozio entrarono due fascisti che chiesero il prezzo dei dolci. Mio nonno rispose
loro, e questi ultimi, a loro volta, proposero uno scambio: il vassoio di dolci
e 4 monete di oro in cambio di due pagnotte di pane bianco. Mia nonna disse
subito di no mentre mio nonno un po’ s’illuminò in viso. I suoi figli quella
sera avrebbero potuto cenare con qualcosa che andasse oltre la solita zuppa di
spinaci. Chiese loro di aspettare un attimo. Andarono in cucina dove i bambini
avevano smesso di giocare, non litigavano e non facevano i servizi imposti
dalla madre ma sognavano di mangiare a occhi aperti.
“Questa è una grande opportunità. Vedi come
stanno male? Non mi interessa avere oro in casa se i miei figli restano affamati.
Che razza di genitore sono? “
Mia nonna lo guardò rassegnata ma le diede solo
due monete d’ oro. Tornarono in negozio. I due militari fascisti avevano già finito
di mangiare metà dei dolci e ridevano contenti. Mio nonno fece presente loro
che avrebbe accettato l’offerta e che in quel momento però disponeva solo due
monete di oro. Per questo motivo, se i militari non avessero accettato non si
sarebbe potuto fare niente. Loro contenti cominciarono ridere e a dire che per
questa volta potevano chiudere un occhio. Ed è arrivato il momento di far
vedere il pane. Questo alimento così pregiato all’epoca che nemmeno i tartufi moderni
lo superano in valore.
“Lo vuoi adesso?” “Noooo” risposerò i fascisti. “ Non possiamo
tenerlo con noi. Ce l’abbiamo nascosto in deposito. Mandaci i tuoi figli con
noi e lo daremo a loro”
Mio nonno chiamò mio padre e mio zio Jovan e donò
loro le due monetine d’ oro raccomandandosi di andare con i signori e di
portare il pane dritto a casa. Era solito all’epoca mandare i figli a fare
certi servizi. Mio padre e mio zio, felicissimi, obbedirono.
Passarono strade su strade e colline su colline
e alla fine si fermarono. “Adesso datemi i soldi e aspettateci qui. Il deposito
e segreto” Disse uno di loro a mio zio, che da fratello maggiore teneva i
soldini stetti stretti nella sua piccola mano.
I bambini ubbidirono. Passarono minuti e ore
intere. Aspettavano in collina con gli occhi pieni di lacrime ma da piccoli
uomini che erano non si permettevano di piangere. Si fecero tante partite di
calcio con il pallone di stracci che tenevano sempre appresso ma nessuno ancora
arrivava. I segnali della fame cominciarono a diventare troppo forti e quindi
decisero di tornare a casa.
Appena arrivati vicino alla strada di casa un
intero vicinato aspettava loro fuori dalle porte. Avevano sentito tutti che i
figli di Vasil erano andati a comprare pane dai fascisti. Qualcuno augurava il
bene, qualcun altro il male e qualcun altro ancora sperava in qualche pezzo.
Mia nonna, felice di vederli sani, sebbene a
mani vuote, li abbracciò e portò in casa.
Vicino al camino gustarono il solito piatto di una
zuppa, mai così buona prima, e successivamente caddero in un sonno profondo.
Kristina Blushi
in foto (Meri, Jovan, Sotiraq e Lirika Blushi)